"Tutto cambia al di là di queste mura.
Qui invece tutto resta uguale, cristallizzato. Siamo un baco che mai si trasformerà in farfalla"

lunedì 15 dicembre 2014

Eternit

"anche se voi vi credete assolti  siete lo stesso coinvolti"
Fabrizio De André (Canzone del Maggio) 

Ha iniziato a non andare più a correre. Non riuscivo a crederci. Erano anni che andava regolarmente due mattine a settimana, quando aveva il turno in fabbrica al pomeriggio. Anche in inverno, con il freddo, la nebbia, persino con la neve. Dopo dieci minuti mi fa male ovunque, si è lamentato un giorno, mi manca la forza per proseguire. Poi è iniziata la tosse. Ricordo le notti insonni, un incubo. Quando il medico gli ha chiesto se fumava si è messo a ridere. La prima sigaretta che aveva fumato all'età di quindici anni era stata anche l'ultima. Odiava il fumo. Una sera, a tavola, mi ha guardato e mi ha detto che gli mancava l'aria. Un mese dopo è arrivata la diagnosi: mesotelioma. Aspettativa di vita: tra i sette mesi e l'anno. Era l'autunno del 2003. All'uscita dall'ospedale sono scoppiata a piangere. Mi ha abbracciato. Non piangere, non serve a niente, in fondo sapevamo che prima o poi sarebbe toccato anche a me. Lo sapeva perché erano già morti due ex-compagni di lavoro. Carlo aveva lavorato tre anni in quello stabilimento. L'hanno chiuso nel 1986, ma è dagli anni sessanta che sapevano che la polvere d'amianto è cancerogena. Hanno continuato a produrre per vent'anni, fregandosene della salute degli operai. Prima il denaro, poi la vita delle persone. Quel giorno Carlo non disse altro. Non disse nulla per una settimana. Sette giorni senza proferire parola. Pensavo che sarei impazzita. Poi il silenzio è finito ed è iniziata l'agonia. Se n'è andato a maggio del 2004, aveva appena compiuto trentanove anni. Sapevo da mesi che sarebbe giunto quel giorno, eppure quando sono tornata a casa dal cimitero mi è sembrato che il mondo mi crollasse addosso. Luca aveva quattro anni. La pediatra mi aveva suggerito di dirgli che suo padre si era trasformato in una stella e lo guardava ogni notte dal cielo. Non so se mi ha mai creduto, io ho sempre avuto la sensazione di prenderlo in giro, ma lui non me l'ha mai rimproverato, nemmeno quando è cresciuto e ha scoperto che i morti non vanno in cielo, ma finiscono sottoterra. Carlo non si era mai occupato molto di suo figlio. Tornava dal lavoro stravolto, sfogliava il giornale, i titoli più che altro. Credo non abbia mai letto un articolo intero in vita sua. Raramente si intratteneva con Luca e giocavano un po' insieme. Eppure Luca, quando suo padre era al lavoro, mi chiedeva in continuazione quando sarebbe tornato. A dicembre di quell'anno gli ho domandato cosa voleva che gli portasse Babbo Natale. Mi ha guardato serio. Vorrei poter parlare con papà. Con Carlo stavamo cercando di avere un secondo figlio. Dopo la sua morte mi sono detta più volte che era stata una fortuna non essere rimasta incinta. Mi sono sempre sentita in colpa perché Luca, con un fratello, si sarebbe sentito meno solo, ma con due figli non ce l'avrei fatta. Gli anni senza Carlo sono stati anni difficili. Sempre a fare i conti per vedere come arrivare a fine mese. È con la morte di Carlo che è iniziata l'inchiesta. Fino alla fine non si può dire, mi ha detto il pubblico ministero, ma ci sono i presupposti per un'accusa per disastro ambientale, chiederemo anche un risarcimento per le famiglie delle vittime. All'epoca non avevo idea che fossero oltre duemila. Nel 2009, quando è iniziato il processo, ero convinta che avremmo vinto. Non saprei dire il perché di quell'ottimismo. Forse perché lo avevo promesso a Luca. Mia madre mi aveva criticato per averlo portato alla prima udienza. In quell'aula si decide anche del suo futuro, le ho detto mettendo fine alla discussione. La storia poi la sapete. La condanna di Schmidheiny in primo grado e in appello, poi la Cassazione che cancella tutto. Il giudice ha detto che tra giustizia e diritto si deve sempre e comunque scegliere il diritto. Io non sono un'esperta in legge, ma so che in altri paesi europei la prescrizione non sarebbe stata possibile. E so anche che prescrizione non significa assoluzione, come ha dichiarato sorridente il signor Schmidheiny. Penso che se il diritto non coincide con la giustizia, allora c'è qualcosa che non va e il diritto andrebbe cambiato. E poi ci sono i soldi. C'è chi si vergogna a dire che sperava in una vittoria al processo per ottenere il risarcimento. Io invece non ho alcun problema ad ammetterlo. Certo, non solo per i soldi, ma anche per quelli. Trentamila euro non valgono la vita di Carlo, però mi avrebbero fatto comodo. L'anno scorso mi hanno licenziata e sono stata cinque mesi senza lavorare. Luca gioca a pallamano. È bravo, ma non so ancora se a settembre riuscirò a pagargli l'iscrizione. Ha quattordici anni, una vita davanti, e io mi sento male a impedirgli di fare ciò che gli piace. Vorrei che studiasse, che potesse sapere per poter essere libero di scegliere. E non essere costretto ad accettare un lavoro pericoloso, come quello di Carlo. Ogni sera, prima di addormentarmi, il mio ultimo pensiero è per mio figlio. Se suo padre fosse ancora vivo sarebbe tutto più semplice, oltre che più bello.

lunedì 1 dicembre 2014

Quanti anni ancora avvolti nelle tenebre?

Non molti sanno che tra Bruxelles e Washington si sta discutendo di un nuovo accordo commerciale tra Europa e Stati Uniti (TTIP, Trattato di Partenariato Transatlantico su commercio e Investimenti).
I nostri governanti non sanno, o fanno finta di non sapere, che questo accordo, tra le altre cose, indurrà molte aziende europee a spostare la produzione negli Stati Uniti, dove la manodopera costa meno, per poi cercare di rivendere i beni nel vecchio continente a persone che non potranno comprarli perché nel frattempo avranno perso il lavoro.
Ogni anno negli Stati Uniti 48 milioni di persone (una ogni sei!) si ammalano per intossicazioni alimentari, di questi circa 3000 muoiono. In Europa (200 milioni in più di cittadini rispetto agli Stati Uniti), grazie a una legislazione molto più rigorosa in ambito di sicurezza alimentare, i morti nel 2012 sono stati 41. Ai nostri governanti pare non importare se tale accordo porterà, tra le altre cose, cibo a basso costo e di scarsa qualità sugli scaffali dei nostri supermercati. E nemmeno importa loro che l'apertura indiscriminata al cibo d'oltreoceano causerà il fallimento di numerose aziende agricole di piccole e medie dimensioni, impossibilitate a fronteggiare i bassi costi di produzione dei giganti agroalimentari americani.
Sono i perversi meccanismi del capitalismo, da sempre al servizio del profitto di pochi, incurante della miseria dei più.

Scriveva Dostoevskij nel 1880: 

"Sta diventando generale, ai nostri tempi, una grottesca incapacità dell'intelletto umano a intendere che la vera garanzia della propria persona non si raccomanda già agli sforzi dell'individuo isolato, ma all'universale comunanza umana. Ma non potrà a meno di avvenire che scoccherà il termine anche a questo tremendo isolamento, e tutti comprenderanno una buona volta quanto contrario alla natura sia stato il loro separarsi l'uno dall'altro. Tale sarà il movimento dei nuovi tempi, e ci si stupirà che tanto a lungo si sia potuti rimaner nelle tenebre, senza vedere la luce"

Sono trascorsi 134 anni e siamo ancora al buio.

giovedì 23 ottobre 2014

Romeo

Te ne sei andato troppo presto, senza preavviso.
Avrei voluto dirti ancora un sacco di cose. Avrei voluto sentire ciò che mi avresti detto, sicuro che sarebbe stato qualcosa di intelligente che valeva la pena ascoltare. Avrei voluto farti vedere come sono cresciuti i miei figli. Avrei voluto ridere e scherzare. Avrei voluto cogliere, almeno una volta ancora, il tuo saper vivere con leggerezza, quella che "non è superficialità ma planare sulle cose dall'alto, non avere macigni sul cuore".
E tutto ora mi sembra ingiusto, come quando se n'erano andati Angela e Matteo. So che passerà, che resterai un bel ricordo, che riuscirò a ripensare a te con un sorriso, senza questa tristezza che mi stritola e non mi dà tregua.
Tempo, mi ripeto, ci vuole tempo.
È in momenti come questo che guardo con invidia a chi può affidarsi alla fede per riuscire ad affrontare il vuoto che la morte di un amico lascia dietro di sé, a chi può afferrarsi all'idea che un domani ci si possa rincontrare per poter più in fretta vincere il dolore. Eppure, sono proprio questi momenti ad allontanarmi maggiormente da Dio, perché se è vero che in fondo potrei anche non rifiutare la sua esistenza, pur non essendo in grado né di provarla né di negarla, "è il mondo da lui creato che io non accetto e non posso piegarmi ad accettare".

mercoledì 1 ottobre 2014

L'identità rubata

Gabriel aveva riflettuto a lungo prima di prendere quella decisione. Una decisione che avrebbe potuto rimettere in gioco tutto, stravolgere la sua vita. Si ricordava il momento esatto in cui si era posto quella domanda scomoda, che tante altre volte gli era balenata per la testa, ma di cui mai aveva voluto veramente conoscere la risposta. Era accaduto cinque mesi prima, il giorno del suo trentaseiesimo compleanno. C'erano tutti i suoi amici più cari, quella sera. Mauro, Pepe, Eduardo, Anita, Lola. E poi lei, Evita, con il suo solito sorriso contagioso, quel sorriso con cui lo svegliava ogni mattina da quando, tre anni prima, erano andati a vivere sotto lo stesso tetto. Gabriel aveva soffiato sulle candeline con la sensazione di sempre, che un altro anno era trascorso e nella sua vita nulla sarebbe cambiato. Una stabilità che lo rassicurava, che lo rendeva felice. Più tardi invece, quando il mate passava di mano in mano, infido si era fatto strada nella mente il pensiero che fosse giunto il momento di trovare la risposta a quella domanda, il momento di rischiare.
Già qualche anno prima c'era stata quella richiesta, una foto della mamma incinta impossibile da trovare, e la fastidiosa sensazione di aver creato un profondo imbarazzo. Possibile che i suoi non se l'aspettassero? In fondo era scontato che quelli della sua generazione, nati nella seconda metà degli anni '70, prima o poi chiedessero informazioni sulle proprie origini. Nonostante la foto non fosse mai saltata fuori, all'epoca Gabriel non aveva permesso che il dubbio incrinasse l'equilibrio della sua esistenza. Intimamente era convinto che i suoi "veri" genitori fossero coloro che lo avevano cresciuto, che gli avevano voluto bene, che lo avevano fatto studiare, che lo avevano aiutato a diventare uomo. E pazienza se non assomigliava né a mamma né a papà.
Quel non porsi domande, quel guardare avanti invece che indietro, quel sentirsi protetto nella stabilità del presente, avevano resistito fino al giorno del suo trentaseiesimo compleanno. Nei giorni e nelle settimane a venire aveva lasciato che il dubbio iniziasse a circolare libero e si impossessasse poco a poco dei suoi pensieri, senza opporvi resistenza. Immagini viste in film e lette nei libri non gli avevano dato tregua. Teste infilate in secchi pieni di orina, unghie strappate con le pinze, scariche elettriche su capezzoli e genitali, uomini e donne gettati vivi dagli aerei nel Rio de la Plata. Per la prima volta aveva provato il desiderio, violento e irrefrenabile, di sapere se fosse o meno un figlio di desaparecidos.
Ci erano voluti cinque mesi per trovare la forza di presentarsi in ospedale per il test del DNA, mesi durante i quali aveva più volte cercato di convincere se stesso che se avesse scoperto di essere stato adottato, l'amore che provava per i suoi genitori non sarebbe stato intaccato e la sua vita avrebbe potuto continuare uguale. Più il tempo passava, però, più faceva fatica a crederlo. 
Le porte a vetri si spalancarono e Gabriel si avviò con passo deciso verso la reception. Varcata la soglia, si sentì all'improvviso leggero. Ora, finalmente, avrebbe saputo la verità e, qualunque fosse stata, si sarebbe tolto quel macigno che da qualche mese si portava appresso.

Dedicato a Ignacio Hurban (Guido), figlio di Walmir Oscar Montoya (ucciso nel 1977) e Laura Carlotto (uccisa nel 1978), nipote di Estela Carlotto (presidente dell'associazione "Abuelas de Plaza de Mayo"), che sottoponendosi volontariamente alla prova del DNA ha scoperto lo scorso agosto la sua vera identità. Fino ad oggi, grazie al lavoro dell'associazione, sono stati ritrovati 114 bambini sottratti dopo la nascita ai loro genitori nei campi di prigionia e tortura durante la dittatura militare in Argentina (1976-1983).

"La peor de las verdades siempre es infinitamente mejor que la más dulce de las mentiras"
Ignacio Guido Montoya Carlotto

martedì 16 settembre 2014

Un bacio appassionato

Tra le varie immagini che mi porterò via da Leuven, piccola perla fiamminga, ve n'è una che mi è particolarmente cara. Il caso vuole che sia quella con cui la città mi ha accolto.
Scendo dal treno, percorro a passo rapido il marciapiede (sono in ritardo) ed esco sulla piazza antistante la stazione. Un ragazzo in giacca e cravatta, con un trolley accanto, è in piedi di fronte a un altro ragazzo che indossa un paio di jeans e una sgargiante camicia rossa. Avranno entrambi una trentina d'anni. Sullo sfondo, splendidi palazzi gotici abbracciano la piazza. I due ragazzi si fissano un istante, poi si avvicinano e si scambiano un bacio appassionato. Sorrido, piacevolmente sopreso, e inspiro profondamente per riempire i polmoni di quest'atmosfera salubre e leggera.
Sospiro. Penso a quanti anni ancora dovranno trascorrere nella bigotta Italia per non soprendersi più di fronte a un bacio di arrivederci tra due ragazzi. Un gesto così semplice e bello, così assolutamente normale.

giovedì 31 luglio 2014

Gaza

Si può restare indifferenti di fronte allo sterminio di Gaza? No, non si può. Di fronte alle centinaia di vittime innocenti non si può non provare orrore. Se ancora è rimasta in noi una goccia di umanità, non possiamo fare a meno di indignarci. E poi? Poi tutto continua esattamente uguale, la nostra vita qui, la loro vita laggiù.
Diceva bene Enrico a Guido ne Il baco e la farfalla: "Chi sta fuori non si rende conto. Il ritmo della loro vita è scandito dai loro problemi, non dai nostri. Il lavoro, la famiglia e tutto il resto. Un ritmo frenetico, una corsa affannosa senza un attimo di respiro". Enrico faceva riferimento al carcere, ma il discorso si può fare pari pari per chi sta "fuori dal conflitto arabo-israeliano".
C'è il lavoro, c'è da fare la spesa, c'è il bambino da andare a prendere a scuola, c'è la meta delle vacanze da decidere. E l'indignazione si dissolve presto nell'indifferenza. Siamo indifferenti perché impotenti o siamo impotenti perché indifferenti? Se cadesse una bomba sui nostri figli mentre sono sullo scivolo al parco giochi, forse riusciremmo a vedere la tragedia di Gaza in maniera meno distaccata. Forse sarebbe più chiaro a tutti, anche a chi considera legittime le bombe israeliane, che la violenza di una parte dei palestinesi altro non è che la risposta a una violenza infinitamente più grande che ha origini lontane nel tempo. In fondo Israele ha sempre messo in pratica ciò che Ben Gurion, il padre di quello Stato, lasciò scritto nei suoi diari una settantina di anni fa (ben prima dell'OLP, di Hamas e dei primi razzi palestinesi): “Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca delle loro terre, per ripulire la Galilea dalla sua popolazione araba... c’è bisogno di una reazione brutale. Se accusiamo una famiglia, dobbiamo straziarli senza pietà, donne e bambini inclusi. Durante l’operazione non c’è bisogno di distinguere fra colpevoli e innocenti”.
Qualunque soluzione diplomatica non può prescindere dal riconoscere che nel conflitto esiste un aggressore (lo Stato di Israele) e delle vittime (il popolo palestinese).
C'è un bel film francese del 2012 diretto da Lorrain LévyIl figlio dell'altra (Le fils de l'autre), in cui due bambini, uno palestinese e uno israeliano, vengono scambiati per errore appena nati. Quando a diciott'anni vengono messi al corrente delle loro vere origini, i due ragazzi sono dapprima sconvolti dalla scoperta, ma col passare del tempo manifestano una certa curiosità nei confronti della vita dell'altro, la vita che avrebbero vissuto se non ci fosse stato lo scambio. Una curiosità che li porterà a frequentarsi e a diventare amici. Il film ci dice, se mai ce ne fosse bisogno, che non c'è nulla di genetico nell'odio che i palestinesi provano nei confronti degli israeliani e viceversa. Vero è che l'odio che è stato seminato è talmente tanto che pur nell'ipotesi (remota, allo stato attuale delle cose) di una soluzione del conflitto, sarebbero necessarie varie generazioni per rendere possibile una convivenza pacifica tra i due popoli. A meno di uno scambio di neonati dalle proporzioni straordinarie. Forse in quel caso sarebbero sufficienti diciotto anni, anno più, anno meno.

martedì 15 luglio 2014

Il baco e la farfalla arriva in Germania!


La Società Dante Alighieri-Comitato di Stoccarda organizza la presentazione del romanzo "Il baco e la farfalla".
Venerdì 25 luglio, alle ore 19.00, presso l'Accademia delle Belle Arti di Stoccarda in Charlottenstraße 5.

Amici stoccardesi, vi aspetto numerosi! 

***
Literatur / Literatur, Philosophie und Geschichte / Lesung

 
Buchvorstellung in Italienisch mit dem Autor Diego Repetto, basierend auf dem Leben von Guido Tommasi.

"Il baco e la farfalla" (Die Raupe und der Schmetterling"), 2011 in Italien von Press Edizioni herausgegeben, ist der erste Roman von Diego Repetto, junge Wissenschaftler aus Genua mit großer Leidenschaft für die Literatur.

Das Buch basiert auf eine wahre Geschichte, denn Guido Tommasi - in dem Roman unter falschem Namen - ist ein Verwandte des Autors.


Moderation: Patrizia Caracciolo
Fri, 25.07.2014, 19:00 Uhr
Academie der schönsten Künste
Charlottenstraße 5
70182 Stuttgart
S-Mitte
***

venerdì 11 luglio 2014

Prendere l'autobus è da sfigati!

"Prendere l'autobus è da sfigati!" si è sfogata Chiara con un sms dopo l'ennesiva disavventura.
A Genova la qualità del servizio mette a dura prova chi decide di rinunciare alla macchina. L'amministrazione comunale, invece che premiare questa scelta virtuosa, fa di tutto per mettere i bastoni tra le ruote. Autobus fatiscenti che ti lasciano a piedi sul più bello, cancellazione di alcune linee e diminuzione della frequenza su altre, la maggior parte dei mezzi non attrezzati per gli invalidi o per il trasporto di passeggini (è vietato salire a bordo con un passeggino aperto).
Secondo un'inchiesta de Il Sole 24 ore, il trasporto pubblico in Italia è tra i peggiori d'Europa, segno che Genova non rappresenta purtroppo un caso isolato.
In una società civile e moderna, il trasporto pubblico dovrebbe essere comodo, economico, pulito, puntuale, frequente, ecologico.... e avere un certo sex appeal. Ebbene sì, prendere l'autobus dovrebbe essere trendy. Sull'autobus bisognerebbe poter incontrare non solo gli "sfigati", ma anche il primario, il professore universitario, l'avvocato, il politico.
Andrebbero costruiti parcheggi nelle periferie delle città e linee di trasporto pubblico veloci verso il centro per poter chiudere al traffico privato i centri urbani.
Esempi virtuosi si sprecano, gli amministratori non dovrebbero nemmeno spremersi troppo le meningi alla ricerca di soluzioni, basterebbe guardarsi un po' intorno.
A Zurigo l'abbonamento ai mezzi pubblici è gratuito se i figli frequentano una scuola a più di 1,5 km da casa (così non si prende l'auto per accompagnarli).
Il Vauban di Friburgo (3 km dal centro, 6.000 abitanti) è l'insediamento car-free più grande d'Europa.
Esempi simili esistono a Edimburgo, Londra, Malmö. 
A Vienna esiste un intero quartiere(Autofrei Siedlung) in cui al momento della firma del contratto della casa ci si impegna a non possedere una macchina.
Un discorso a parte merita Curitiba. Il trasporto pubblico di questa città brasiliana di 2.500.000 abitanti insegna come sia possibile un sistema efficiente basato sulle comuni tecnologie di trasporto esistenti. Autobus lunghi con ampie porte, stazioni coperte e sopraelevate per evitare i gradini e velocizzare la salita e la discesa dal mezzo. Corsie preferenziali, autobus che regolano i semafori in modo da avere la precedenza e, di conseguenza, una velocità media di spostamento paragonabile a quella di una metropolitana (con un costo di realizzazione di molto inferiore). A Curitiba, il 79% dei pendolari si sposta in autobus e il 90% si dichiara soddisfatto del servizio. Un servizio che non pesa sulla cittadinanza perché si ripaga interamente con il costo del biglietto.
Investire in trasporto pubblico significa rendere le città più vivibili, risparmiare in salute e assistenza sanitaria (meno malati, meno incidenti), significa aumentare il benessere e la felicità dei cittadini.

giovedì 19 giugno 2014

Tobias e Miguel

Tobias vive a Losanna, ha 8 anni e un sogno nel cassetto: diventare un giorno il centravanti della nazionale di calcio del suo paese. Ogni giorno, finiti i compiti, indossa la maglietta della squadra della sua città, si allaccia con cura le scarpe con i tacchetti che i suoi genitori gli hanno regalato per il suo ultimo compleanno, prende il pallone e si avvia sorridente verso il parco giochi, dove sul prato lo aspettano i suoi amici. Tobias ha un problema. Vorrebbe giocare in attacco, ma i suoi compagni lo mettono sempre in porta. Se ne approfittano perché sono più grandi. La scena si ripete uguale ogni giorno. Tobias protesta un po', loro minacciano di non farlo giocare, e dopo qualche minuto si avvia mesto tra i pali. Finita la partita fa ritorno a casa, con le sgridate per i gol subiti che ancora gli rimbombano in testa, covando la speranza che l'indomani gli verrà concesso finalmente di giocare in attacco. E allora sì che potrà mostrare a tutti quanto è bravo.

Miguel vive a San José, un paesino vicino alla Sierra. Miguel ha 8 anni e ha smesso di sognare quando il giorno del suo settimo compleanno il padre è stato ammazzato dai militari. Stava partecipando a una marcia in difesa dei diritti dei contadini. Chiedevano la restituzione delle terre che erano state espropriate dal Governo e vendute a una multinazionale svizzera. Sei persone erano morte quel giorno, sei persone a cui non era stato dedicato nemmeno un trafiletto sui giornali di Losanna. Miguel ha un problema. Da quando è morto suo padre, sua madre è caduta in depressione, si consola con l'alcol, ogni mattina prende l'autobus e va in città, dove si prostituisce per racimolare un po' di soldi, quanto basta per un paio di pasti al giorno. Miguel trascorre le giornate rincorrendo i turisti che arrivano al paesino per visitare la Sierra. Ogni sera riesce a portare a casa qualche moneta.
Un giorno si ferma a guardare un bambino che tira calci a un pallone, contro un muro. Si avvicina e gli chiede se può giocare anche lui. Il bambino lo guarda e, pur non capendo la sua lingua, gli fa di sì con la testa. Dopo un po' arriva un signore in giacca e cravatta e dice al bambino che devono andare, o almeno così crede Miguel, visto che il bambino prende la palla e lo saluta. Miguel si avvicina all'uomo e tende la mano aperta, con il palmo rivolto verso l'alto. Il signore esita un istante, poi fruga nelle tasche e tira fuori due monete. Miguel sorride e lo ringrazia.

Tobias si allaccia le scarpe ed esce di corsa, in direzione del parco giochi. I suoi amici lo stanno aspettando. Come sempre, lo spediscono in porta. Tobias non protesta, l'eccitazione per il viaggio al di là dell'oceano è ancora viva. Non era mai successo prima che suo padre abbinasse a un viaggio di lavoro una vacanza famigliare. La visita ai campi della multinazionale per cui lavora era durata solamente un paio di giorni, il tempo di verificare che il progetto di sperimentazione di biocombustibili e nuovi semi geneticamente modificati avanzasse come previsto. Poi avevano trascorso due settimane alla scoperta delle bellezze storiche e naturali di quel paese lontano.
Tobias prende posto tra i pali e ripensa al viaggio, alle balene, alle spiagge dorate e a quelle costruzioni antiche fatte con pietre enormi. Pensa a quel bambino con gli occhi scuri e sottili. Chissà cosa starà facendo in quel momento, si domanda. Se fosse lì al parco gli chiederebbe di giocare in porta al posto suo. E allora sì che potrebbe far vedere a tutti quanto è bravo.

lunedì 9 giugno 2014

Evento: presentazione libro su Lord Byron

Invito

Venerdì 13 giugno parteciperò in qualità di lettore alla presentazione del libro:

L'estate di un ghiro. Il mito di Lord Byron attraverso la vita, i viaggi, gli amori, le opere
 di Vincenzo Patanè

Durante la presentazione saranno letti alcuni passi tratti dalle opere del poeta inglese.

Genova, Biblioteca Universitaria, sede Hotel Colombia, Via Balbi 40, venerdì 13 giugno 13, ore 17:30

Incontro organizzato dall'Associazione GenovApiedi

martedì 3 giugno 2014

Un paese senza futuro

Può un dirigente scolastico di una scuola pubblica lodare le scuole private perché senza di loro molti bambini sarebbero costretti a restare a casa? La risposta è sì, ed è accaduto nell'ultima riunione della scuola d'infanzia di mio figlio. Il Comune non ha risorse, non può mantenere l'attuale offerta, l'anno prossimo non ci sarà più la sezione Primavera (bambini di 2 anni). Per opportunismo elettorale vengono tolte tasse necessarie... ICI, IMU, TASI, quale sarà il prossimo acronimo che i Comuni si inventeranno per poter racimolare qualche euro?
Il privato che supplisce alle carenze del pubblico. Qualcuno si fregherà le mani immaginando nuove possibilità di guadagno, a me sembra solo lo specchio di uno stato sociale moribondo. 
Un paese che non riesce a garantire i servizi minimi per i bambini è un paese senza futuro.
Al parco giochi si incontrano nonni stremati che non vedono l'ora che i nipotini crescano per poter tornare a respirare un po'. A fine agosto li vedi mentre contano i giorni che mancano all'inizio della scuola per poter tornare ad avere almeno le mattine libere.
Viviamo in un paese in cui, per motivi sociali, culturali ed economici, si diventa genitori sempre più tardi. Tempo una generazione e in pochi diventeranno nonni prima dei 70 anni. Allo stesso tempo in Italia si abbassa l'aspettativa di vita sana. Dal 2004 al 2011 si sono persi 8 anni. Le donne, per esempio, diventano in media disabili a 62 anni. Si vive di più, ma ci si ammala prima. Significa che ci saranno sempre meno nonni sani che potranno prendersi cura dei nipoti e sopperire così alle carenze dello Stato. Diminuiranno ulteriormente le nascite, la popolazione invecchierà, aumenteranno i costi sociali.
Senza interventi strutturali (non spot elettorali da 80 euro al mese, con i quali ci si paga la baby-sitter per un paio di giorni appena), lo scenario futuro sarà molto triste. Per strada si vedranno coppie di quarantenni che invece di spingere passeggini, porteranno in giro i propri genitori su una sedia a rotelle.  

venerdì 23 maggio 2014

Un libro contro la barbarie

L'attività di scrittore e la passione per la lettura mi portano spesso a visitare siti di case editrici, più o meno note. Alcuni giorni fa mi sono imbattuto nella seguente lettera scritta da un piccolo editore.

Gentile signora, gentile signore,

viste le gravi crisi in cui viviamo, crisi economica e cronica crisi della lettura, che in Italia dura da molti decenni, abbiamo deciso di prenderci un momento di pausa.

Una casa editrice come la nostra, che non fa pagare gli autori per pubblicare i loro lavori e riceve tante proposte di pubblicazione, ma pochissime richieste di libri da leggere, per quanto di qualità e interesse i titoli in catalogo, non può continuare ad esistere. Ecco perché ci prendiamo una pausa di riflessione.

Forse ci butteremo a capofitto nella vendita di tappeti, che possono andare molto meglio in una stagione di solitudine come questa.
O forse ci sposteremo verso altre lingue e paesi, dove non necessariamente tutti sono poeti.

Probabilmente sbaglio a scrivere in questo modo a qualcuno che solo chiede di pubblicare il suo libro... La mia disperazione non è certo per un mancato guadagno, ma per la totale mancanza d'interesse del pubblico italiano verso la cultura e la poesia in particolare.

Provate a guardare nelle librerie sugli scaffali riservati alla poesia: sicuramente avrete più libri di poesia voi in casa vostra … eppure in molti scrivono versi! Non saranno le librerie a essere poco interessate ai libri di poesia, di sicuro mancano i lettori!

Allora darei un consiglio: stampate da voi i vostri libri dal primo stampatore che trovate, non vi affidate a piccoli editori disonesti che vi chiedono soldi per pubblicare, andate in giro voi stessi a divulgare il vostro libro, con presentazioni e letture, per strada se necessario…
Diffidate dei premi a pagamento. E soprattutto leggete, leggete, leggete poesia, sempre, comunque. Giudicate della qualità di un'opera affidandovi ai vostri criteri di valutazione, diffidando della critica ufficiale e anche della pubblicità in tv e sui giornali.
Scusate se ho deluso le vostre attese.

Cordiali saluti

l'Editore Albalibri
ÇlirimMuça


Non so cosa avete provato voi nel leggerla, a me ha trasmesso amarezza e sconforto. In una società disinteressata alla lettura si ha un livellamento culturale verso il basso, anticamera della barbarie. Il rischio ultimo è rappresentato da società orwelliane o bradburyane alle quali mai vorremmo arrivare (a parte forse coloro che pensano di poterne trarre vantaggio politico ed economico).
Chi cerca in modo indipendente di opporsi con passione a certi scenari, adottando linee editoriali fuori moda, pubblicando e vendendo libri di nuovi autori, si trova a lottare contro giganti che pagano fior di quattrini per avere i propri libri all'ingresso delle grandi librerie impilati l'uno sull'altro a formare tante Manhattan in miniatura. Il mondo dell'editoria è pieno di piccoli editori che pubblicano ottimi libri, ma che sono costretti a chiudere per l'insostenibilità economica del loro progetto. Un progetto magari di qualità, ma che non trova il consenso di un pubblico già di per sé scarso. Un pubblico attratto da pochi best sellers, i quali raramente sono garanzia di qualità, anzi, spesso è vero il contrario. Non vedrete mai un libro di un premio Nobel al primo posto delle classifiche dei libri più venduti. Per il semplice motivo che i libri, nonostante veicolino cultura, non sfuggono alle più elementari leggi di mercato. Se sei famoso e si prevede che il tuo libro venderà molte copie, allora non avrai difficoltà a farti pubblicare da Mondadori ed Einaudi, anche se hai scritto l'apologia in versi della pasta e fagioli. Se invece sei uno dei tanti, con una vita normale, un lavoro normale, una famiglia normale, riuscire a pubblicare un tuo libro potrebbe risultare tanto difficile quanto scalare l'Everest. Vero è che molti si improvvisano "alpinisti" senza essere tali, si considerano dei nuovi Saramago e non si capacitano del perché il proprio manoscritto, che reputano un capolavoro della letteratura moderna, non trovi qualcuno disposto a pubblicarlo (nella migliore delle ipotesi si rassegnano, nella peggiore sono disposti a pagare migliaia di euro al primo editore a pagamento che offre loro un contratto). Tra tanti velleitari aspiranti scrittori, però, ve ne sono alcuni le cui opere meriterebbero senza dubbio di essere lette. Molte di queste opere restano sconosciute ai più, molte altre non riescono nemmeno a trovare un editore che abbia voglia di rischiare. In fondo, come dargli torto? L'Italia è un paese dove molti scrivono ma pochi leggono. Più di un italiano su due (54%) non legge nemmeno un libro all'anno (in Germania chi non legge è appena il 18%, in Francia il 30%) e solo il 6% legge in media un libro al mese. Ciononostante, la produzione editoriale resta enorme. Una volta, entrando in una libreria, affascinato e allo stesso tempo intimorito dalla sconfinata offerta, ho calcolato quanti libri avrei potuto ancora leggere prima di morire. Considerando una media di 15 libri all'anno e ipotizzando ottimisticamente di vivere altri 45 anni, il risultato è stato 675. Mi sono sembrati pochi, soprattutto se confrontati con le novità che ogni anno riempono gli scaffali delle librerie (molte più di 675!). La speranza, per gli aspiranti scrittori, per i piccoli editori e per la società in generale, è che il numero di lettori, ormai stabile da  molti anni, possa tornare ad aumentare. Forse saremo costretti ad aspettare che i social networks, che tanto tempo assorbono a chi ne fa uso, passino di moda. Solo allora le persone ritroveranno il tempo di sfogliare le pagine di un libro invece di cinguettare e messaggiare in modo frenetico e compulsivo.
Quando volete fare un regalo a qualcuno, entrate in una libreria, meglio se piccola, e comprate un libro! Sarà il vostro piccolo mattoncino contro la barbarie collettiva.

venerdì 16 maggio 2014

Rieducazione o punizione?


Genova, carcere di Marassi

Aria stantia, il neon difettoso che sfrigola, arredamento minimalista. Sono in quattro, seduti sulle brande. Li osservo. Uno, quello sulla destra, ha l'aria più assente degli altri. "Raccogliete le vostre cose, uscite oggi pomeriggio". Sguardi stupiti. "Non ve l'hanno detto? A febbraio la legge per cui siete in prigione è stata giudicata incostituzionale". Sguardi speranzosi. "Siamo liberi?". Annuisco. "Siete liberi". Sguardi felici. "Certo che ce n'hanno messo di tempo per rendersi conto che c'è una bella differenza tra farsi una canna e farsi di eroina, eh?". "Otto anni". Sguardi arrabbiati. "E noi nel frattempo a marcire qui dentro. In quattro, in nemmeno dieci metri quadrati. Da uscirci di testa". Allargo le braccia. "Meglio tardi che mai". Sguardi tristi. "Mi hanno sbattuto dentro che mio figlio non camminava ancora, ora parla. Chi me li restituisce i giorni che non ho potuto trascorrere insieme a lui?". Si alzano in tre, quello sulla destra resta immobile al suo posto. "Ehi, tu non vieni?". Silenzio. "Beh?". Silenzio. "No, lui non viene". Li squadro interrogativo. "Siete arrivati tardi. Si è suicidato ieri".

***

A febbraio la legge Giovanardi-Fini è stata giudicata incostituzionale. Si è calcolato che potrebbero uscire dal carcere quasi diecimila persone, anche se a distanza di tre mesi ne sono state scarcerate molte meno. Se dovessero uscire tutti quelli che ne hanno diritto, si alleggerirebbe un poco la pressione su un sistema carcerario ridotto al collasso.
Nelle carceri italiane si trovano attualmente circa 67.000 detenuti per una capienza massima di 44.000. Dopo Serbia e Grecia, l'Italia è il paese del Consiglio d'Europa con il maggior sovraffollamento nelle carceri.
L'Italia è il Paese dell'area Ocse con i tempi della giustizia più lunghi, con una media di quasi 600 giorni di durata per un processo.
Il 21% delle persone in carcere è in attesa di primo giudizio. Il 40% è invece in attesa di giudizio definitivo. Statisticamente, quasi la metà sarà riconosciuta innocente (significa che attualmente 13.000 persone sono detenute ingiustamente).
Se la pena detentiva venisse sostituita, quando possibile, dai servizi sociali e dai lavori socialmente utili (privilegio che in Italia spetta a pochi), il livello di recidiva si abbasserebbe dal 70 al 25%.
Secondo le direttive europee, in Italia tre carceri su quattro sono illegali per quanto riguarda lo spazio nelle celle a disposizione di ogni detenuto. In alcune carceri ci sono celle con quattro persone sistemate su due letti a castello costrette a vivere in 7,6 metri quadrati. Meno di 2 metri quadrati a testa. In altre celle di uguali dimensioni ci stanno addirittura in 6.
A gennaio del 2013 la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l'Italia a pagare 100.000 euro per danni morali a sette detenuti nelle prigioni di Busto Arsizio e di Piacenza.
I detenuti sono spesso rinchiusi in una cella per 20 ore senza poter svolgere nessuna attività. Poco più del 10% svolge lavoro saltuario, pochissimi hanno la possibilità di frequentare le scuole. L’ozio forzato è la regola.
Le condizioni igienico-sanitarie sono pessime. Le celle sono luoghi immondi dove circolano scarafaggi, le finestre spesso non si possono aprire perché ostruite dai letti a castello. Mancano aria e luce, tanto che i detenuti devono tenere la lampadina accesa tutto il giorno.
Molti non possono vedere mogli e figli. L’avvocato, quasi sempre d’ufficio, l’hanno visto una sola volta e nulla conoscono del processo che li riguarda. Il 25% è tossicodipendente, il 36% è straniero senza appoggi in Italia, i casi psichiatrici sono tantissimi, l’assistenza sanitaria è quasi impossibile.
Condizioni inumane che tra il 2000 e il 2012 hanno spinto 752 detenuti a togliersi la vita. Nel solo 2010 sono stati segnalati 66 suicidi tra i detenuti e 7 tra gli agenti di polizia penitenziaria. Il suicidio è la prima causa di morte in carcere (56%, per malattia muore il 20%).
In carcere si ha un tasso di suicidi 20 volte più alto che nella società, 1 suicidio ogni 1.000 detenuti contro 1 ogni 20.000 cittadini. In Francia si ha un rapporto pari a 3, in Germania scende a 2, in Finlandia il tasso di suicidi dentro e fuori dal carcere è lo stesso.
Il 40% dei condannati in via definitiva si trova in carcere per reati connessi alla droga (grazie anche a una legge incostituzionale). Allo stesso tempo, l'Italia detiene in Europa il minor numero assoluto (156) di detenuti condannati in via definitiva per reati fiscali e/o finanziari: un insignificante 0,4% del totale nazionale, mentre in Germania ce ne sono 55 volte di più (14% del totale) e nel Liechtenstein addirittura il 38%.


L'articolo 27 della Costituzione è palesemente violato nella maggiornaza delle carceri italiane. È assurdo pensare a una "class action" dei detenuti nei confronti dello Stato?

Articolo 27 della Costituzione della Repubblica Italiana

La responsabilità penale è personale.

L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Non è ammessa la pena di morte.

venerdì 9 maggio 2014

Las venas

Era da tempo che volevo leggerlo, ma ogni volta che finivo un libro gli lanciavo un'occhiata fugace e poi le mie mani, senza motivo apparente, ne afferravano un altro. E lui restava lì, in paziente attesa, su uno scaffale della libreria. Come se sapesse che, prima o poi, sarebbe giunto il suo turno, cosa che effettivamente è accaduta, un paio di mesi fa.
Las venas abiertas de America Latina, di Eduardo Galeano.
Un saggio che riporta fatti che la storia ufficiale, quella raccontata dai vincitori, nasconde o, peggio ancora, falsifica. Un racconto meticoloso e rigoroso del saccheggio umano, culturale, economico e ambientale perpetrato negli ultimi cinque secoli ai danni dei paesi del Centro e Sud America. Una descrizione documentata dei crimini commessi ai danni del popolo latinoamericano, dai tempi di Cristoforo Colombo fino alle dittature militari degli anni '60 e '70 appoggiate e finanziate dagli Stati Uniti. Dal genocidio degli indios al potere illimitato e senza regole delle multinazionali nel '900. Il profitto che calpesta i diritti. L'uomo che sfrutta l'uomo, spreme la terra, devasta la natura. Il tutto nel nome dell'unico dio venerato in tutto il mondo. Un'analisi lucida che evidenzia in maniera inequivocabile come il capitalismo sia un modello economico che prevede "più naufraghi che naviganti".
Una lettura consigliata. Un libro che andrebbe letto e studiato nelle scuole. Per una corretta visione della storia. Per vedere sotto un'altra ottica coloro che giungono da noi alla ricerca di una vita più dignitosa. Per non dimenticare che i loro paesi di origine oggi sono poveri perché altri si sono impossessati della loro ricchezza. Per comprendere il debito umano, economico ed ecologico che Europa e Stati Uniti hanno nei confronti dell'America Latina. Per cogliere la valenza rivoluzionaria del processo integrazionista latinoamericano avviato alla soglia del nuovo millennio.

"Nella storia degli uomini ogni atto di distruzione trova risposta, prima o poi, in un atto di creazione"
Eduardo Galeano

domenica 4 maggio 2014

L'applauso

La sala era gremita. Ogni posto occupato. E a un certo punto sono arrivati? Non sono arrivati, erano già in sala. Tutti e quattro? No, erano in tre, la donna non c'era. E cosa è successo? Dal palco qualcuno ha preso il microfono e ha annunciato agli altri la loro presenza. E poi? È scattato l'applauso. I giornali hanno scritto cinque minuti. Cinque no, ma tre di sicuro. Non sono pochi. Inizia ad applaudire. Cosa? Tu applaudi, io conto. Uno, due, tre, quattro...sessantasette... Ancora? Continua. Sessantotto, sessantanove, settanta... centosettantanove e centottanta. Non ce la facevo più. A volte nemmeno a teatro si applaude tanto. Se per questo nemmeno alla premiazione dei Nobel. E applaudivano tutti? Sì. Si sono alzati in piedi, si è udito qualche grido e l'applauso si è trasformato in un'ovazione. Poveretti. Chi? I genitori. Quante volte gliel'hanno già ucciso quel povero ragazzo? Il capo della polizia però stavolta li ha chiamati, si è scusato. Parole. Parole? Le parole perdono di credibilità se vengono smentite dai fatti. Ti riferisci al reintegro una volta scontata la pena? Più che reintegro una promozione. Dalla strada a un ufficio. Avranno suscitato l'invidia di più di un collega. In fondo una storia che si ripete, anche dopo Genova 2001 le cose erano più o meno andate così. Mi piacerebbe prenderli uno a uno. Chi? Quelli che hanno applaudito e chiedergli se davvero credevano in quell'applauso. Perché? Per poter nutrire una speranza. Non voglio rassegnarmi alla sensazione di insicurezza che provo di fronte a una divisa. Sogni ancora di essere inseguito? Ormai raramente. In fondo sono passati quasi tredici anni. Già, eppure a volte sembra ieri. Comunque te lo ripeto, erano tutti in piedi. Ma forse alcuni si sono alzati per senso di appartenenza. Non c'è nulla di più deleterio per la mente di un essere umano che il senso di appartenenza. Non esiste solo nella polizia. No, non solo. L'assenza di obiezioni, l'impossibilità di essere in disaccordo. Mi disturbano, in generale. Dev'essere per questo che da sempre evito con cura gli ambienti dove regna l'unanimità. Si dice che l'unione faccia la forza. Purché non si tratti di un'unione forzata. La tendenza è quella di marginalizzare le voci fuori dal coro. È miope colui che vive il dissenso come una debolezza, invece che come un'opportunità. Divergere per poi convergere. E per cambiare, in meglio. Sai che non ho ancora visto il film? Quello su Federico? Sì. Dovresti vederlo, ti piacerà... cioè, no. No cosa? Per alcuni film sarebbe più corretto dire “non ti piacerà”. In che senso? Che non ti farà piacere quello che viene raccontato. Non sono sicuro di seguirti. Prendi “Sweet sixteen”, di Ken Loach. Il film è bello, ma quando iniziano i titoli di coda resti al buio con gli occhi lucidi, immobile, e non perché speri che se ne siano andati tutti quando si riaccenderanno le luci, bensì per quel macigno enorme tra gola e stomaco che ti impedisce di alzarti, che ti tiene inchiodato alla poltrona. Ero convinto che odiassi i lieto fine. Vero. Non sopporto chi fa di tutto per edulcorare la realtà. Un po' di ottimismo ogni tanto non guasta. Il bicchiere mezzo pieno può agire da freno. Da freno? Ti isoli nel tuo fragile benessere e non ti rendi conto che il mondo intorno a te sta crollando, non ti accorgi che quando piove a te basta un ombrello, ma sui poveri piovono pietre.

L'eco stonato dell'applauso rimbombava ancora tutt'attorno.

mercoledì 23 aprile 2014

Benvenut@

Me lo avevano detto in tanti, me lo avevano ripetuto, ho perso il conto delle volte... “devi farti una pagina web, aprire un blog, solo così le tue parole potranno diffondersi come polline nel vento, solo così i tuoi libri saranno conosciuti da chi ancora non ti conosce”. Ricordo un amico che una volta mi disse “mi piacciono quei tre secondi che ti prendi sempre prima di rispondere, trasmettono la sensazione che non si tratti mai di una risposta data a caso”. Lento nel rispondere, figuriamoci nel prendere la decisione di aprire un blog. I pensieri quotidiani che si ammassano l'uno sull'altro e aumentano l'inerzia al cambiamento. Il lavoro, due figli, che se cento ti danno duecento ti tolgono, in termini di tempo ed energia, fisica e mentale. Un secondo romanzo ultimato da poco e un terzo in fase embrionale. Filtri con maglie troppo strette per le grandi novità. Alla fine, però, eccomi qua. Non so ancora con che frequenza riuscirò a scrivere, e nemmeno posso immaginare la frequenza con la quale riuscirai a leggermi. Spero solo che avremo la possibilità ogni tanto di coincidere sullo schermo. Un incontro dinamico, senza ruoli predefiniti. Non solo io come scrittore e tu come lettore, ma anche viceversa, se avrai piacere ogni tanto a inserire un tuo commento e, di conseguenza, farti leggere. A presto!