La sala era gremita. Ogni
posto occupato. E a un certo punto sono arrivati? Non sono
arrivati, erano già in sala. Tutti e quattro? No, erano in
tre, la donna non c'era. E cosa è successo? Dal palco
qualcuno ha preso il microfono e ha annunciato agli altri la loro
presenza. E poi? È scattato l'applauso. I giornali hanno
scritto cinque minuti. Cinque no, ma tre di sicuro. Non sono
pochi. Inizia ad applaudire. Cosa? Tu applaudi, io conto.
Uno, due, tre, quattro...sessantasette... Ancora? Continua.
Sessantotto, sessantanove, settanta... centosettantanove e centottanta. Non
ce la facevo più. A volte nemmeno a teatro si applaude tanto. Se
per questo nemmeno alla premiazione dei Nobel. E
applaudivano tutti? Sì. Si sono alzati in piedi, si è udito
qualche grido e l'applauso si è trasformato in un'ovazione.
Poveretti. Chi? I genitori. Quante volte gliel'hanno già
ucciso quel povero ragazzo? Il capo della polizia però stavolta
li ha chiamati, si è scusato. Parole. Parole? Le parole
perdono di credibilità se vengono smentite dai fatti. Ti
riferisci al reintegro una volta scontata la pena? Più che
reintegro una promozione. Dalla strada a un ufficio. Avranno
suscitato l'invidia di più di un collega. In fondo una storia
che si ripete, anche dopo Genova 2001 le cose erano più o meno
andate così. Mi piacerebbe prenderli uno a uno. Chi? Quelli
che hanno applaudito e chiedergli se davvero credevano in
quell'applauso. Perché? Per poter nutrire una speranza. Non
voglio rassegnarmi alla sensazione di insicurezza che provo di fronte
a una divisa. Sogni ancora di essere inseguito? Ormai
raramente. In fondo sono passati
quasi tredici anni. Già, eppure a volte sembra ieri.
Comunque te lo ripeto, erano tutti in piedi. Ma forse alcuni si
sono alzati per senso di appartenenza. Non c'è nulla di più
deleterio per la mente di un essere umano che il senso di
appartenenza. Non esiste solo nella polizia. No, non solo.
L'assenza di obiezioni, l'impossibilità di essere in disaccordo. Mi
disturbano, in generale. Dev'essere per questo che da sempre evito
con cura gli ambienti dove regna l'unanimità. Si dice che
l'unione faccia la forza. Purché non si tratti di un'unione
forzata. La tendenza è quella di marginalizzare le voci fuori dal
coro. È miope colui che vive il dissenso come una debolezza,
invece che come un'opportunità. Divergere per poi convergere.
E per cambiare, in meglio. Sai che non ho ancora visto il film?
Quello su Federico? Sì. Dovresti
vederlo, ti piacerà... cioè, no. No cosa?
Per alcuni film sarebbe più corretto dire “non ti piacerà”. In
che senso? Che non ti farà
piacere quello che viene raccontato. Non sono sicuro di
seguirti. Prendi “Sweet
sixteen”, di Ken Loach. Il film è bello, ma quando iniziano i
titoli di coda resti al buio con gli occhi lucidi, immobile, e non
perché speri che se ne siano andati tutti quando si riaccenderanno
le luci, bensì per quel macigno enorme tra gola e stomaco che ti
impedisce di alzarti, che ti tiene inchiodato alla poltrona. Ero
convinto che odiassi i lieto fine.
Vero. Non sopporto chi fa di tutto per edulcorare la realtà. Un
po' di ottimismo ogni tanto non guasta.
Il bicchiere mezzo pieno può agire da freno. Da
freno?
Ti isoli nel tuo fragile benessere e non ti rendi conto che il mondo intorno
a te sta crollando, non ti accorgi che quando piove a te basta un
ombrello, ma sui poveri piovono pietre.
L'eco
stonato dell'applauso rimbombava ancora tutt'attorno.
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