"Tutto cambia al di là di queste mura.
Qui invece tutto resta uguale, cristallizzato. Siamo un baco che mai si trasformerà in farfalla"

domenica 4 maggio 2014

L'applauso

La sala era gremita. Ogni posto occupato. E a un certo punto sono arrivati? Non sono arrivati, erano già in sala. Tutti e quattro? No, erano in tre, la donna non c'era. E cosa è successo? Dal palco qualcuno ha preso il microfono e ha annunciato agli altri la loro presenza. E poi? È scattato l'applauso. I giornali hanno scritto cinque minuti. Cinque no, ma tre di sicuro. Non sono pochi. Inizia ad applaudire. Cosa? Tu applaudi, io conto. Uno, due, tre, quattro...sessantasette... Ancora? Continua. Sessantotto, sessantanove, settanta... centosettantanove e centottanta. Non ce la facevo più. A volte nemmeno a teatro si applaude tanto. Se per questo nemmeno alla premiazione dei Nobel. E applaudivano tutti? Sì. Si sono alzati in piedi, si è udito qualche grido e l'applauso si è trasformato in un'ovazione. Poveretti. Chi? I genitori. Quante volte gliel'hanno già ucciso quel povero ragazzo? Il capo della polizia però stavolta li ha chiamati, si è scusato. Parole. Parole? Le parole perdono di credibilità se vengono smentite dai fatti. Ti riferisci al reintegro una volta scontata la pena? Più che reintegro una promozione. Dalla strada a un ufficio. Avranno suscitato l'invidia di più di un collega. In fondo una storia che si ripete, anche dopo Genova 2001 le cose erano più o meno andate così. Mi piacerebbe prenderli uno a uno. Chi? Quelli che hanno applaudito e chiedergli se davvero credevano in quell'applauso. Perché? Per poter nutrire una speranza. Non voglio rassegnarmi alla sensazione di insicurezza che provo di fronte a una divisa. Sogni ancora di essere inseguito? Ormai raramente. In fondo sono passati quasi tredici anni. Già, eppure a volte sembra ieri. Comunque te lo ripeto, erano tutti in piedi. Ma forse alcuni si sono alzati per senso di appartenenza. Non c'è nulla di più deleterio per la mente di un essere umano che il senso di appartenenza. Non esiste solo nella polizia. No, non solo. L'assenza di obiezioni, l'impossibilità di essere in disaccordo. Mi disturbano, in generale. Dev'essere per questo che da sempre evito con cura gli ambienti dove regna l'unanimità. Si dice che l'unione faccia la forza. Purché non si tratti di un'unione forzata. La tendenza è quella di marginalizzare le voci fuori dal coro. È miope colui che vive il dissenso come una debolezza, invece che come un'opportunità. Divergere per poi convergere. E per cambiare, in meglio. Sai che non ho ancora visto il film? Quello su Federico? Sì. Dovresti vederlo, ti piacerà... cioè, no. No cosa? Per alcuni film sarebbe più corretto dire “non ti piacerà”. In che senso? Che non ti farà piacere quello che viene raccontato. Non sono sicuro di seguirti. Prendi “Sweet sixteen”, di Ken Loach. Il film è bello, ma quando iniziano i titoli di coda resti al buio con gli occhi lucidi, immobile, e non perché speri che se ne siano andati tutti quando si riaccenderanno le luci, bensì per quel macigno enorme tra gola e stomaco che ti impedisce di alzarti, che ti tiene inchiodato alla poltrona. Ero convinto che odiassi i lieto fine. Vero. Non sopporto chi fa di tutto per edulcorare la realtà. Un po' di ottimismo ogni tanto non guasta. Il bicchiere mezzo pieno può agire da freno. Da freno? Ti isoli nel tuo fragile benessere e non ti rendi conto che il mondo intorno a te sta crollando, non ti accorgi che quando piove a te basta un ombrello, ma sui poveri piovono pietre.

L'eco stonato dell'applauso rimbombava ancora tutt'attorno.

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