"Tutto cambia al di là di queste mura.
Qui invece tutto resta uguale, cristallizzato. Siamo un baco che mai si trasformerà in farfalla"

lunedì 15 dicembre 2014

Eternit

"anche se voi vi credete assolti  siete lo stesso coinvolti"
Fabrizio De André (Canzone del Maggio) 

Ha iniziato a non andare più a correre. Non riuscivo a crederci. Erano anni che andava regolarmente due mattine a settimana, quando aveva il turno in fabbrica al pomeriggio. Anche in inverno, con il freddo, la nebbia, persino con la neve. Dopo dieci minuti mi fa male ovunque, si è lamentato un giorno, mi manca la forza per proseguire. Poi è iniziata la tosse. Ricordo le notti insonni, un incubo. Quando il medico gli ha chiesto se fumava si è messo a ridere. La prima sigaretta che aveva fumato all'età di quindici anni era stata anche l'ultima. Odiava il fumo. Una sera, a tavola, mi ha guardato e mi ha detto che gli mancava l'aria. Un mese dopo è arrivata la diagnosi: mesotelioma. Aspettativa di vita: tra i sette mesi e l'anno. Era l'autunno del 2003. All'uscita dall'ospedale sono scoppiata a piangere. Mi ha abbracciato. Non piangere, non serve a niente, in fondo sapevamo che prima o poi sarebbe toccato anche a me. Lo sapeva perché erano già morti due ex-compagni di lavoro. Carlo aveva lavorato tre anni in quello stabilimento. L'hanno chiuso nel 1986, ma è dagli anni sessanta che sapevano che la polvere d'amianto è cancerogena. Hanno continuato a produrre per vent'anni, fregandosene della salute degli operai. Prima il denaro, poi la vita delle persone. Quel giorno Carlo non disse altro. Non disse nulla per una settimana. Sette giorni senza proferire parola. Pensavo che sarei impazzita. Poi il silenzio è finito ed è iniziata l'agonia. Se n'è andato a maggio del 2004, aveva appena compiuto trentanove anni. Sapevo da mesi che sarebbe giunto quel giorno, eppure quando sono tornata a casa dal cimitero mi è sembrato che il mondo mi crollasse addosso. Luca aveva quattro anni. La pediatra mi aveva suggerito di dirgli che suo padre si era trasformato in una stella e lo guardava ogni notte dal cielo. Non so se mi ha mai creduto, io ho sempre avuto la sensazione di prenderlo in giro, ma lui non me l'ha mai rimproverato, nemmeno quando è cresciuto e ha scoperto che i morti non vanno in cielo, ma finiscono sottoterra. Carlo non si era mai occupato molto di suo figlio. Tornava dal lavoro stravolto, sfogliava il giornale, i titoli più che altro. Credo non abbia mai letto un articolo intero in vita sua. Raramente si intratteneva con Luca e giocavano un po' insieme. Eppure Luca, quando suo padre era al lavoro, mi chiedeva in continuazione quando sarebbe tornato. A dicembre di quell'anno gli ho domandato cosa voleva che gli portasse Babbo Natale. Mi ha guardato serio. Vorrei poter parlare con papà. Con Carlo stavamo cercando di avere un secondo figlio. Dopo la sua morte mi sono detta più volte che era stata una fortuna non essere rimasta incinta. Mi sono sempre sentita in colpa perché Luca, con un fratello, si sarebbe sentito meno solo, ma con due figli non ce l'avrei fatta. Gli anni senza Carlo sono stati anni difficili. Sempre a fare i conti per vedere come arrivare a fine mese. È con la morte di Carlo che è iniziata l'inchiesta. Fino alla fine non si può dire, mi ha detto il pubblico ministero, ma ci sono i presupposti per un'accusa per disastro ambientale, chiederemo anche un risarcimento per le famiglie delle vittime. All'epoca non avevo idea che fossero oltre duemila. Nel 2009, quando è iniziato il processo, ero convinta che avremmo vinto. Non saprei dire il perché di quell'ottimismo. Forse perché lo avevo promesso a Luca. Mia madre mi aveva criticato per averlo portato alla prima udienza. In quell'aula si decide anche del suo futuro, le ho detto mettendo fine alla discussione. La storia poi la sapete. La condanna di Schmidheiny in primo grado e in appello, poi la Cassazione che cancella tutto. Il giudice ha detto che tra giustizia e diritto si deve sempre e comunque scegliere il diritto. Io non sono un'esperta in legge, ma so che in altri paesi europei la prescrizione non sarebbe stata possibile. E so anche che prescrizione non significa assoluzione, come ha dichiarato sorridente il signor Schmidheiny. Penso che se il diritto non coincide con la giustizia, allora c'è qualcosa che non va e il diritto andrebbe cambiato. E poi ci sono i soldi. C'è chi si vergogna a dire che sperava in una vittoria al processo per ottenere il risarcimento. Io invece non ho alcun problema ad ammetterlo. Certo, non solo per i soldi, ma anche per quelli. Trentamila euro non valgono la vita di Carlo, però mi avrebbero fatto comodo. L'anno scorso mi hanno licenziata e sono stata cinque mesi senza lavorare. Luca gioca a pallamano. È bravo, ma non so ancora se a settembre riuscirò a pagargli l'iscrizione. Ha quattordici anni, una vita davanti, e io mi sento male a impedirgli di fare ciò che gli piace. Vorrei che studiasse, che potesse sapere per poter essere libero di scegliere. E non essere costretto ad accettare un lavoro pericoloso, come quello di Carlo. Ogni sera, prima di addormentarmi, il mio ultimo pensiero è per mio figlio. Se suo padre fosse ancora vivo sarebbe tutto più semplice, oltre che più bello.

1 commento:

  1. Ciao Diego, mi è piaciuto il tuo articolo; penso che la prescrizione di un reato in cui ci siano stati dei morti non dovrebbe esserci in nessun caso, men che mai quando è consapevole e reiterato!
    un abbraccio Dora

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